L’incontro con la teoria dell’attaccamento e la svolta relazionale della psicoterapia cognitiva
Durante un’intervista rilasciata pochi mesi prima di morire John Bowlby rispose così a una domanda sui rapporti tra teoria dell’attaccamento, psicoanalisi e terapia cognitiva: «Io penso che queste etichette siano piuttosto forvianti perché in realtà la psicoterapia cognitiva che Liotti rappresenta e la terapia psicoanalitica che io rappresento convergono» (Bowlby, 1990, 167, trad. nostra).
Sebbene infatti la teoria dell’attaccamento (TA) sia stata concepita da uno psicoanalista, per certe sue caratteristiche che verranno discusse più avanti, costituisce uno dei pilastri concettuali del cognitivismo clinico. In particolare, per quell’orientamento cognitivista, per cui è stata proposta la denominazione di psicoterapia cognitivo- evoluzionista (Liotti, 2011), che in Italia ha trovato nelle idee di Bowlby e nell’intersoggettività che esse propongono la base teorica per spiegare gran parte del funzionamento generale della mente, dello sviluppo della personalità, della psicopatologia e del processo di crescita psicoterapica.
Non deve sorprendere dunque che nel 1988, in Una base sicura, John Bowlby avesse scritto: «… a Roma, conobbi due terapeuti cognitivisti, Giovanni Liotti e Vittorio Guidano, e fui felicemente sorpreso nello scoprire quanto avessimo in comune […]. I concetti qui delineati circa il procedimento terapeutico sono simili a quelli descritti più particolareggiatamente da altri, per esempio da Peterfreund (1983) e da Guidano e Liotti (1983). Sebbene questi autori siano partiti da posizioni differenti […] i principi che ora guidano il loro lavoro mostrano delle convergenze sorprendenti» (Bowlby 1988, 95, 113).